FATHERSNAKE ON THE ROAD

Blog di corsa, ma non solo, di un runner per metà rocker e per metà podista.

lunedì 29 aprile 2013

Dalle stelle alle stalle, e ritorno (Lago Eco Trail La Canavesana, Albiano d'Ivrea).




Nei trail adotto sempre espressioni particolarmente intelligenti.

Lago Eco Trail La Canavesana: una gara competitiva valida per il campionato regionale Uisp Trail 2013 e per l’assegnazione della maglia di campione Uisp trail di categoria.

La temevo. Per la lunghezza del tracciato, di trenta chilometri, da me mai percorsi in precedenza, e perché le previsioni meteorologiche lasciavano poche speranze: pioggia, pioggia e ancora pioggia.
Fin quasi all’ultimo, ero stato tentato di iscrivermi al concomitante trail della Bessa, di distanza minore, con il comune vantaggio di svolgersi a poca distanza da casa. Alla fine però ha prevalso la voglia di mettermi in gioco su una distanza importante.

Albiano (TO), domenica mattina.
 Non piove, è già qualcosa. A occhio, i presenti non sono tantissimi (alla fine, una novantina). Ritiro il pacco gara, infilo la pettorina, mi avvicino alla partenza. Uno degli organizzatori mi fa notare che, oltre a pettorina e chip serve anche il cartellino cartaceo con nome e cognome, dopodiché inizia a fare l’appello. Ok, probabilmente il mio è rimasto nella busta consegnatami all’atto dell’iscrizione, e la busta è nell’auto parcheggiata a circa 800 metri e le chiavi le ha mia madre che ho lasciato nei pressi. Comincio a cercarla. Vado avanti e indietro dalla zona di partenza all’auto per svariate volte, sempre più nervoso, e sempre più sudato. Dopo l’ennesimo ritorno e l’ennesima imprecazione la scorgo, mi faccio dare le chiavi, corro all’auto, mi appiccico il benedetto cartellino e mi precipito all’appello, per me la gara è come fosse già iniziata. C’era ancora tempo comunque, le operazioni prima del via sono particolarmente laboriose, tanto che si parte con un leggero ritardo.
S’inizia con un corto tratto in asfalto, fino a che s’imbocca a destra un sentiero che taglia deciso attraverso i campi. Fango sì, ce n’è, ma non pesante, e si evita facilmente. Arriviamo a Tina, e, dopo un single track erboso, trascorsi venticinque minuti circa inizia la salita, l’unica di un certo peso, verso il castello di Masino.
“Ciao Gianfra!” mi saluta un volontario addetto allo stop del traffico e riconosco in lui, dopo un attimo di perplessità, un ex collega assicuratore di almeno un migliaio di anni fa.
Alla salita ciottolosa si accede attraverso un cancello, aperto per l’occasione. Seguo un gruppetto di quattro runner che vanno su a passo simile. Dietro non so, non guardo per non perdere la concentrazione. Sono pronto a essere superato in qualsiasi istante, so che la gara è ancora lunga e che potrò eventualmente recuperare. La pendenza è costante, e la mia andatura pure. Paradossalmente, è la fatica psicologica quella che si fa più sentire: ogni tratto sembra identico a quello appena percorso. Dopo ogni tornante, anziché la liberatoria pianura, si ripresenta un altro identico tornante e così via per un tempo che mi sembra infinito. Quando comincio a credere di essere nel pieno di un episodio di “Ai confini della realtà”  scollino al castello di Masino ove è situato il traguardo di una 10 km, partita in contemporanea. Dalle retrovie sopraggiunge un runner. Scambiamo due battute sulla nostra posizione rispetto al gruppo. Concordiamo sul fatto che davanti a noi non possono esserci più di trenta, quaranta podisti. La strada ora è in leggera discesa, su sentiero largo e agevole. Comincio a prendere velocità, si stacca. Raggiungo due podisti sempre in leggera discesa, senza forzare.
Noto ora, davanti, un corridore che reputo piuttosto forte. Mai in gara ero riuscito neppure ad avvicinarlo. Sapete com’è, quando succede una cosa simile si pensa: dov'è il trucco? Sta raccogliendo le forze per poi partire in quarta? Oppure c’è qualcosa che io non so riguardo al percorso, tipo una salita particolarmente dura che ci aspetta al varco da qui a poco?
Neppure il tempo di formulare compiutamente il pensiero ed ecco che il tracciato in breve si rizza a mò di muro. E’ come una scala, ma per fortuna corta. Sento il fiato sul collo di tutti quelli che ho superato in precedenza. Seguo il nervoso andamento del sentiero lungo il crinale di una collina. Brevi salite, brevi discese. Il corridore mi tallona, così lo lascio passare. Dopodiché non lo mollo. Gli sto dietro pensando che più tempo riuscirò a resistergli, più sarà per me motivo di vanto futuro. In quel momento l’idea di poterlo seminare non mi sfiora neppure.
Eppure lo vedo fermarsi bruscamente toccandosi la caviglia. Una storta? Non c'è il tempo di chiederglielo, perché siamo in pieno declivio e l’inerzia mi porta lontano. La discesa è infida, disseminata di pietre e richiede attenzione. Nel frattempo, ecco un altro runner davanti a me. Si ferma: scarpa slacciata. Lo supero. Mi raggiunge superandomi a sua volta.
A un posto di controllo un addetto, rivolto a lui, esclama  “Trentaseiesimo!”
Grazie ad un impegnativo lavorìo mentale concludo di essere 37esimo.
Sono trascorsi 19 km. Ne mancano ancora undici. Ora la strada finalmente spiana. Si tratta solo di tenere.
Il trentaseiesimo si affianca a un altro runner poco più avanti. Probabilmente amici, o compagni di squadra. Li vedo parlottare.
I lacci del 36esimo fanno di nuovo le bizze, lo costringono a fermarsi di nuovo.
Così, prendo il suo posto come 36esimo, e poi divengo 35esimo, dopo aver superato anche l’altro, in difficoltà.
Ora sono solo, e all’ultimo ristoro, quello dei 20 km, posto sulle rive del lago di Viverone, mi fermo per un istante a buttar giù un po’ di sali. Riparto prima che la sosta mi costi cara.
Mi piacerebbe recuperare altre posizioni ma i due che scorgo a 500 metri hanno un ritmo analogo al mio, cosicché il divario rimane pressoché costante.
Si giunge ad Azeglio, e con mio sommo sconcerto, tornati su asfalto, si riprende a salire, fin su al castello. Non è neppure un chilometro, ma la pendenza è severa. Si entra nel parco, e per scherzo mi rivolgo ad alcuni spettatori chiedendo se debba fare prima il biglietto.
Ancora nessuna notizia di prossimi inseguitori, ma mi sento come braccato. A una svolta particolarmente angolata, che mi permetterebbe di scorgere un tratto della strada appena dietro, metto una mano a lato dell’occhio sinistro per non vedere. Sarà che nei trail si torna un po’ bambini.
La discesa la faccio ovviamente a tutta, per quanto me lo permettano le gambe affaticate.
Ormai manca poco, devo riuscire a tenere.
Raggiungiamo Albiano, su un tratto di percorso sterrato che è lo stesso della “Correndo tra le vigne “ di un mese fa.
Lì raggiungo un altro concorrente
Occupo il suo posto come 34esimo.
Entriamo nell’abitato e, dall’alto, sono pronto alla picchiata.
Un ragazzo, in compagnia di un bambino festante, posto sulla discesa, m’incita urlandomi “Bravo, sei ventiduesimo!”
Quel “ventiduesimo”  mi mette le ali ai piedi, visto che per gran parte della gara avevo creduto di occupare posizioni più arretrate. Sono quasi alla fine, sento già la voce dello speaker.
Brusca curva a destra, e poi giù per un prato.
Il prato diventa un campo coltivato.
No, non può essere.
Ma è.
Ho sbagliato strada.
E appena realizzo le gambe mi si afflosciano.
Che beffa.
Faccio dietrofront, il più velocemente possibile, con arti improvvisamente di piombo. Con l’occhio della mente vedo sfilare un esercito di concorrenti, e con il cuore in gola torno indietro fino al bivio che mi aveva tratto in inganno. Imbocco la strada giusta. Maledetta!
Davanti a me, a duecento metri, l’ultimo runner superato, il 34.
Arranco verso di lui, nel cuore la speranza che nessun altro lo abbia superato nel frattempo.
La discesa me lo fa raggiungere. Lo supero di nuovo.
No, nessun altro se non lui.
 Ultimi 500 metri.
Ecco il traguardo.
Ventiduesimo su una novantina di partenti, ma quel che mi rallegra di più è il settimo posto di categoria.
Un tiepido raggio di sole si fa strada, non so come, tra le nuvole.
Una gran giornata.
Rock’n’roll.


domenica 7 aprile 2013

Piatto non è piatta (primo trail delle colline di Piatto).


Ennesima puntata della serie: addormentarsi bassista e svegliarsi runner. 

Trail runner, per la precisione.

Prologo: concerto al Tortuga di Vigliano Biellese con i Black Ice. La band è in ottima forma, suoniamo bene e il pubblico che gremisce il locale in un modo quasi inverosimile risponde da par suo, tanto che non ci vuole più far smettere: una seratona.

Dopo un po’ di ore di sonno travagliato sono in auto alla volta di Piatto, ripercorrendo per intero la stessa strada del ritorno dal Tortuga. Correrò il trail delle Colline di Piatto, a soli sette chilometri dal luogo del concerto.
Dai finestrini della Fiesta sfila Mongrando, che si staglia sulle pendici di una collina contro un cielo fosco e nuvoloso. Immagino il profumo di caffè e cappuccino nelle cucine delle abitazioni nel quieto ozio di una domenica che sembra fatta per stare in casa al caldo tra tv, PC e letture. Sul parabrezza cade qualche timida goccia. Fa freddo, non sembra aprile.
Lia, seduta, accanto a me, sopporta queste uscite con quieta rassegnazione, solo per il piacere di starmi accanto: sa che a me piace, e le basta.
Questo mi fa sentire un po’ in colpa e fa sì che mi chieda cosa me lo faccia fare. Desiderio di gloria? No avrei smesso da un pezzo. Forse il senso sta tutto nella differenza tra il vivere e il lasciarmi vivere, nel voler essere protagonista della mia vita: è dal continuo puntare a migliorarmi che ne traggo il senso.
Occhio, che arriva l'uomo nero.


Nonostante il nome a Piatto, paesino di circa 600 anime, c'è ben poca pianura ed il percorso del trail ne risentirà. La gara, che prevede due diversi percorsi, da sette e quindici chilometri, consiste in un continuo risalire e discendere declivi nei boschi tra il paese ed il confinante Ternengo sotto una pioggia fine. Al fondo di ogni china si guada un torrente, saltellando di pietra in pietra, e si risale dall'altra parte. Per numerose volte. Caratteristica, questa, che lo rende molto simile al Winter Brich che ho corso nel dicembre scorso.
Tra una guadata e l'altra il piede destro finisce nell'acqua gelida. Inevitabile, alla fine. Il terreno, allentato per la pioggia, offre degli appoggi poco affidabili sopratutto in tratti con fango in superficie. Rallento, quando scorgo sul terreno i punti segnati dalle scivolate di chi mi ha appena preceduto. Per il resto, in discesa mi difendo senza problemi. E' ancora la salita il punto debole ed è l'indicazione più utile che traggo da quest’uscita domenicale.

Cercherò di rimediare con i prossimi allenamenti, orientati alla salita, stando la mia intenzione di dedicarmi al trail in modo più massiccio degli scorsi anni. 

Sette euro l'iscrizione, comprendente una scatola di biscotti al kamut, un chilo di riso (immancabile nelle gare biellesi) e una bottiglietta d'acqua. Occorre aggiungere che alla fine della manifestazione era prevista una sorta di estrazione tra tutti i partecipanti alla manifestazione. Abbondante il ristoro finale, così come ottima la gestione della gara da parte degli organizzatori, con percorso ben presidiato e ben segnalato con il classico nastro biancorosso utilissimo sopratutto laddove il sentiero non era ben visibile. 
Peccato invece per lo scarso chilometraggio. I GPS segneranno, infatti, solo 11 km contro i quindici quelli dichiarati sul volantino.
Per la cronaca arrivo 26esimo in poco meno di un centinaio di partenti.

Rock'n' Roll


lunedì 1 aprile 2013

La vendetta della Piota Vagante





foto by Gino Marangoni - sito http://www.biellaedintorni.it/
Sabato 30 marzo.
Scenario: la frazione Prelle di Salussola, un pugno di case in ambiente bucolico. Sono qui a correre per la seconda volta il Trail della Piota Vagante. E per la seconda volta il tempo non è dei migliori. Persino peggio della volta prima. Non si tratta solo di umidità: questa volta è pioggia.
Sono carico e fiducioso delle mie possibilità. Migliorare il risultato dell'anno prima sembra impresa alla  portata. Cinque chili in meno rendono la corsa in salita molto meno faticosa e comunque si tratta di un trail collinare corto di media difficoltà, senza lunghe ascese.
Si parte ed il serpentone formato da circa 200 unità si lancia lungo un asfaltato tratto in discesa, preludio alla prima salitella. Un grosso tronco, caduto di traverso sul tracciato ci costringe ad abbassarci per poter proseguire. Alcuni, come Stoppre, non lo vedono; dal traumatico incontro ne riporterà una ferita sanguinante sulla fronte ma proseguirà stoicamente.

Corro i primi chilometri ad un ritmo che mi soddisfa, sembra giornata di gran spolvero. Poche posizioni davanti a me scorgo G.P. e se ancora non mi ha seminato è la prova che sto correndo bene.Curva a sinistra.
Stop.
La gara si ferma.  Non capisco cosa stia succedendo. Di primo acchito penso che un tratto del percorso sia impraticabile e che l'organizzazione ne abbia deciso un ridimensionamento costringendoci ad una deviazione. Sono attimi concitati. Si discute ma non afferro quello che si dice. Ho solo fretta di ripartire, comincio a raffreddarmi. Abbiamo sbagliato strada? Hanno sbagliato quelli davanti? L'iniziale capannello di runner diventa un gruppo corposo, mano a mano che veniamo raggiunti da altri. Poi, si decide di proseguire accorciando il giro originario. Si è trattato, a quanto pare, di un problema segnaletico al primo incrocio, per cui avrebbero sbagliato tutti. Riparto tristemente, ogni ardore agonistico raffreddato. La gara mi pare compromessa, ma voglio portare a casa almeno un pò di chilometri per non rendere completamente inutile l'uscita. Intanto la pioggia si fa davvero insistente ed il fondo dei sentieri sempre più infangato. Con il passare dei chilometri riprendo il buon ritmo iniziale, che lo stop non sembra aver compromesso. Ormai si corre sotto la pioggia, incuranti delle pozzanghere ed il fango che avvolge i piedi e che reclama spazi sempre più grandi. Il percorso lo conosco, non mi aspetto sorprese. Si ripassa dalla frazione Prelle per imboccare il giro lungo e la leggera salita che mi aveva sfiancato lo scorso anno sfila senza troppe difficoltà. Mancano pochi chilometri all'arrivo quando sono costretto a fermarmi perchè mi si sono slegati i lacci di una scarpa. Sono costretto a togliermi un guanto completamente zuppo e le dita insensibili per il freddo non agevolano il compito di riallaccio. Alcuni sparsi runner mi affiancano e superano. Riparto, ma neppure un chilometro dopo sento le stringhe nuovamente lente e mi accorgo che mi si sono slacciate. Di nuovo. Una bestemmia ci sta. Dalle retrovie mi raggiunge un altro concorrente. Li stringo così forte che a momenti mi sego la scarpa in due. Rimettermi il guanto sarebbe operazione complessa ed allora lo tengo in mano. Mi riporto sotto gli ex inseguitori che riprendo, fino a prender parte ad una finale volata a tre.

Meglio dell'anno scorso? Sì, anche se la classifica generale è stata inevitabilmente condizionata dallo stop in gara, speso a capire cosa stesse succedendo. Qualcuno si era fermato di più, altri meno. Altri erano addirittura proseguiti prendendo preso una direzione diversa dalla maggioranza.
Aldilà di questo, mi sono divertito e penso che i trail occuperanno uno spazio sempre maggiore del mio calendario agonistico.
Domenica prossima, ad esempio...

Rock'n'roll