FATHERSNAKE ON THE ROAD

Blog di corsa, ma non solo, di un runner per metà rocker e per metà podista.

lunedì 20 maggio 2013

Fango monferrino (1° edizione Moncalvo Trail)

Ci avviciniamo a Moncalvo, cuore del Monferrato, in provincia di Asti, sotto un cielo che non lascia molte speranze. Sarà pioggia.
E' già pioggia, in auto con Lia e mia madre.
Il programma prevede un trail di 17 km su e giù per le dolci colline monferrine.
Il paesino è stato meta di una gitarella estiva di un anno o due fa. Faceva caldo, in quell'occasione, ed era stato bello passeggiare con Lia lungo le strette stradine che lo attraversano. Oggi, invece il colle su cui è posato si staglia su un grigio orizzonte lambito da nuvole basse. Parcheggiamo in Piazza Carlo Alberto, teatro delle operazioni di partenza. Com'è diversa oggi, sferzata dalla pioggia e dal vento gelido di un maggio che di maggio ha niente.
Perplesso, osservo il fiato che si condensa in vapore.
Ecco laggiù il gonfiabile giallo, testimone di un evento sportivo che sarà dura affrontare. Qualche runner infreddolito già scalpita sotto i portici che circondano parte della piazza. Ritiro il microchip la cui consegna avviene in una postazione che pare improvvisata. Su di un tavolo depliant, ormai bagnati, di gare future. Il vento ne ha sparpagliati parecchi anche sul terreno antistante. In terra, dentro un raccoglitore di cartone, tante buste contenenti microchip che nessuno userà. L'immagine mette tristezza. Un evento che avrebbe dovuto riempire di presenza umana la piazza, sarà oggi portato a termine da un manipolo d’irriducibili, tra cui alcune caparbie donne.

Breve briefing, si parte. Sono dietro al gruppo. Visto il numero dei partenti, e la lunghezza della gara, non fa poi così grossa differenza. Il GPS non è riuscito a trovare il satellite, sarò costretto a portarmelo al polso muto e sfaccendato. Si parte in discesa, alla fine della quale già mi si slacciano i lacci della scarpa sinistra. Mi capita di frequente, con le Pegasus Trail. La sosta è veramente minima, dopodiché recupero un po’ di posizioni. Durante la prima ascesa le scarpe slittano su uno strato di fango colloso che mi si appiccica progressivamente alle suole. Faccio sempre più fatica a sollevare i piedi da terra:  il mio unico pensiero è di liberarmi al più presto di quell’ingombrante zavorra. Ci riesco sbattendo con forza le Pegasus in terra, e affronto in precario equilibrio una successiva discesa complicata da fango viscido. Si slitta come niente. Per scendere cerco tratti erbosi, nella speranza siano meno sdrucciolevoli.  Quella che, baciata dal sole, poteva essere un’impegnativa collinare sembra diventata un ULTRA. Il tracciato, nel suo dolce saliscendi, inesorabile però nelle ascese, lambisce i famosi vigneti monferrini e fa spesso da letto a qualche rigagnolo che ne occupa parte o tutta la sede.

Sulla cima di un colle, il percorso si divide. Sono indeciso sulla direzione da prendere: alcune frecce rosse in terra indicano a sinistra, ma sono sbiadite e per quanto ne so, potrebbero essere lascito di una gara precedente. Sopraggiunge un runner  e mi suggerisce di imboccare il percorso a sinistra.
Sicuro? chiedo.
Certo, il percorso l'ho segnato io.
Seguo il suo prezioso consiglio.
Sarà la mia fortuna, perchè davanti a me altri avevano imboccato la direzione opposta.
Lui tuttavia non mi segue, devia a destra.
Sulla successiva discesa do' tutto. Mi ritrovo solo.

La paura più grande ora, è di sbagliare qualche deviazione, qualche curva, di imboccare un sentiero che non porti da nessuna parte. Ci sono ancora undici chilometri, davanti. Per un attimo considero l'idea di attendere qualche concorrente dalle retrovie, in modo da poter avere un parere in più in caso d’indecisione, ma alla spalle ho un solitario runner, troppo lontano; aspettarlo sarebbe una inutile perdita di tempo. Proseguo, di conseguenza, con ritmo che mi pare brillante.
Dopo un tratto su larga strada asfaltata, di pochi chilometri, salgo ancora. Non mi sento pressato e affronto la salita con passo non eccessivo, dopo aver mangiato una gelatina di frutta.
Al culmine una coppia m’incita come quarto concorrente. Accolgo la notizia con stupore, e mi preparo a reggere per tutti i chilometri restanti.
Lungo la strada incontro solo volontari della protezione civile e ragazzi in mountain bike a presiedere i punti più complicati.

Uno dei tratti più difficili mi si presenta terminata una discesa: un'area fangosa in cui i piedi s’immergono totalmente. La affronto più velocemente che posso, per non rimanerne invischiato. Terminata, osservo che il sentiero volta deciso a destra sotto l'arcata di un ponticello, uno stretto passaggio oscuro totalmente invaso dall'acqua.
Possibile si passi di qui?
Sì, vai. Mi dico.
Alcuni tratti sono ben segnalati da cartelli e nastri, altri li percorro con l'accesa speranza di non sbagliare, cosicché è sempre un sollievo quando raggiungo qualche addetto agli incroci, che testimoni la validità della mia scelta precedente. Al decimo (circa), mi sorpassa veemente un runner, in discesa. Tento di stargli attaccato, ma ha un passo troppo rapido, tanto da accumulare velocemente vantaggio. Difficile riprenderlo, inutile sprecare energie. Davanti a noi la strada s'inerpica sopra un colle. Finalmente vedo i primi laggiù, in lontananza. La pendenza è severa. Il podista di poc'anzi sale senza perdere il ritmo, è già quasi in cima. Io invece affronto la difficoltà alternando passettini di corsetta leggera con ben più frequenti camminate veloci.
Getto un veloce sguardo dietro e scorgo alcuni inseguitori. Non sembrano vicini, ma spero che la salita non mi faccia piantare. Fortunatamente non succede e raggiunta la cima a corto di fiato, dopo un breve prologo in pianura, incontro nuova pendenza, complicata dal fango scivoloso. Cerco di correre laddove l'acqua scorrendo ha lasciato scoperte le pietre, in modo da poter contare su un appoggio più saldo.
Un volontario m’informa che manca appena un chilometro e dopo una salitella severa ma corta scorgo il paese davanti. Il tracciato si trasforma in uno stretto sentiero urbano che segue per un tratto il perimetro del paese, poi punta deciso verso il ritorno in piazza.
Varco il traguardo in una piazza deserta a parte un fotografo e due donne che applaudono, strette sotto un balcone per ripararsi dalla pioggia, e qualche avventore sotto il dehor di un bar. La postazione sotto il gonfiabile è totalmente sguarnita. Non sentendo alcun bip dopo il mio passaggio temo che l'arrivo non sia stato registrato. Dopo un attimo sopraggiunge da sotto i portici un tecnico che consultando il PC portatile mi conferma la posizione ottenuta e il tempo.
Non c'è nulla di caldo da bere. Sembra che l'organizzazione, i cui membri non sono neppure facilmente identificabili, si sia disinteressata del finale di gara. Persino la consegna dei chip è demandata ad un passa parola. Assente, ad esempio, un cartone con la scritta "riconsegna chip".
Aleggia aria di improvvisazione, di incertezza. Eccheggia qualche imprecazione da parte di chi si è perso.
I primi arrivati premono per poter essere premiati in fretta, in modo da potersene andare quanto prima. Io riesco ad ottenere in premio una bottiglia di Malvasia, messa a disposizione degli sponsor.
Dopodichè il mio unico pensiero è quello di affrontare il viaggio di ritorno verso Borgofranco d'Ivrea.



Rock'n'roll.

La classifica.



















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