FATHERSNAKE ON THE ROAD

Blog di corsa, ma non solo, di un runner per metà rocker e per metà podista.

martedì 4 giugno 2013

I trentacinque del Kitambo

L'ultimo sterrato rettilineo, sotto un sole deciso, quasi non lo sento più: c'è il bramato traguardo davanti, che si rivela, finalmente, dopo trentacinque lunghi chilometri, con la voce dello speaker che suggella il mio 18esimo posto. Finalmente mi posso fermare. Mi sdraio sull'erba di fianco a Beppe. Un ragazzo del Kitambo mi chiede, premuroso:
Tutto bene?
Sì, è ok - lo rassicuro.
Chiudo gli occhi, e sorrido.
                                                 ......
Il futuro vincitore, Davide Ansaldo, in prima posizione.


Quattro ore prima, in auto, percorrevo a tutta birra la provinciale trentuno diretto a Casale Monferrato. Rendendomi conto di essere partito tardi da San Mauro Torinese spingevo a tutto gas. Per fortuna in quel momento i lunghi rettilinei da Chivasso in poi erano quasi deserti e superare i pochi veicoli presenti non era un problema. La gara sarebbe partita alle 14 e alle tredici e venti, dopo settanta chilometri, ero finalmente alle porte della cittadina. Dovevo ancora trovare piazza Castello e il modo migliore era chiedere. Scorgo un vigile sul ciglio della strada, faccio per accostarmi ma il guidatore dell'auto davanti alla mia del tutto inaspettatamente, ha la stessa idea. Così mi accodo aspettando il mio turno, fremente. Poi tocca a me:
-Alla rotonda prenda a sinistra, poi costeggi il canale-
Riparto.
Lungo un rettilineo cittadino mi trovo davanti due veicoli particolarmente lenti. Ormai sono lanciato, li sorpasso. Troppo tardi mi accorgo della presenza di un altro vigile, a sinistra, che emerge da una fila di auto parcheggiate e che mi fa cenno di accostare.
Questa non ci voleva.
Attraversa la strada con espressione severa.
Cerco di motivare il mio gesto:
-Mispiacehofrettaperchèdevopartecipareadunagarachepartetrapoco- 
Pensando intanto all'entità della multa ed al tempo che avrei perso.
-Questo non è un motivo per ignorare il codice della strada!-
-Sì, ha ragione-
-Vada-
Riparto, considerandomi fortunato.
Trovare piazza Castello è facile, una volta che ci si imbatte nel Castello. Di seguito, trovo parcheggio e il punto delle iscrizioni, con davanti ancora una discreta coda. Perfetto.
Ritiro la busta con il pettorale. Sono arrivato in tempo, ma non abbastanza da poter fare il riscaldamento. Del resto, in una gara di trentacinque chilometri, è così necessario?
L'idea di prendere parte a una competizione di così rispettabile distanza era nata per due motivi: il primo, voler sostituire un lungo di 28 km, previsto dalla tabella di allenamento, il secondo, volermi mettere in gioco su distanze più lunghe, che ritengo più adatte al mio fisico che ha bisogno di carburare, per poter esprimersi al 100%.

Incontro alcuni compagni di squadra Happy Runner, incontro Beppe della Podistica Dora Baltea. Lo speaker annuncia i pezzi grossi del team Salomon Agisko, partner nell'organizzazione del trail.
Fa caldo, il primo vero caldo della stagione.

E' una partenza al fulmicotone, ed io mi lascio trascinare senza pensare alle conseguenze. Così, i primi due chilometri, che bastano per farci attraversare il centro abitato portandoci verso le colline, una volta superato l'ospedale, scorrono ad un passo medio di quattro minuti e tredici al chilometro. Grosso sbaglio: la fatica già presenta il conto sulla prima rampetta. Dopo neppure 5 km sono già bollito, tanto che mi fermo a camminare lasciando sfilare diversi concorrenti. Beppe, che ha scelto saggiamente di non tirare troppo all'inizio, mi affianca e si allontana all'orizzonte: lo rivedrò solo all'arrivo.
In cima, le strade dei partecipanti alla 15 km si dividono dalle nostre. Prima del bivio c'è il banchetto di un ristoro ove a sorpresa trovo alcune brioches al cioccolato. Una la faccio mia, insieme con due o tre bicchieri di coca cola. Prendo a sinistra, seguendo le indicazioni, abbandonando l'asfalto e scendendo tra le vigne, tra i tralci residui della potatura invernale.
Senza i partecipanti alla quindici, il gruppo si è sfoltito. Le bestemmie iniziano appena il tratturo spiana, scoprendolo totalmente invaso dal fango. Dopo quello di Moncalvo, anche Casale non vuole essere da meno. A mano a mano che si procede, evitarlo diventa sempre più difficile. Poi, impossibile, e i piedi vanno a bagno.
Il corpo non mi trasmette buone sensazioni; la fatica dei primi chilometri non è assorbita ma anzi, si accumula alla stanchezza nel salire lungo i crinali. Le discese non mi permettono di rifiatare, perché per la maggior parte su terreni accidentati ed aspri. Mi affianca un podista, ha dimenticato il GPS, mi domanda quanti chilometri siano passati. Mi parla delle Porte di Pietra, un trail particolarmente duro cui ha da poco partecipato.
-Ventiquattro minuti per fare un chilometro!- Ricorda.
Procediamo pressochè affiancati sino alla cima di una collina, al 15esimo km, ove un venticello fresco ci dona un momentaneo refrigerio.
Giunti in fondo a quest'ultima ci informano di essere rispettivamente 24esimo (lui) e venticinquesimo (io).
-Dai, siamo quasi a metà- 
Al ristoro successivo, la scelta fra acqua e coca non cambia. Mando giù altri tre bicchieri, 
di prezioso liquido ambrato (così mi pareva in quei momenti) mentre l'acqua me la butto addosso. Il caldo ci morde la testa e fiacca le gambe. Il percorso è segnato ottimamente, parecchi bivi sono presidiati dai ragazzi del Kitambo che hanno una parola di conforto e incitamento per tutti. Nonostante che sulle salite sia ormai incapace di correre, salvo tratti brevi, la mia andatura mi fa guadagnare un po’ di vantaggio. Raggiungo, in pianura, un trio. Ora le forze sono così residue che cammino anche in pianura. Noto però che lo stesso fanno quelli davanti. E così, corricchiando un po’ di più di loro, riesco a prenderne e distanziarne due. 
Al ristoro del ventesimo chilometro ci arrivo un po’ correndo, un po’ camminando. Le forze stanno evaporando un po’ come tutta la coca cola bevuta, e comincio a raschiare il fondo del barile delle energie residue. La strada in quel tratto ha abbandonato la frescura del sottobosco ed è uscita sotto un sole spietato.  Supero una coppia formata da un trailer accompagnato da un ausiliario della croce rossa che cammina conducendo a mano una mountain bike. Una ambulanza sta venendo a caricare il concorrente.
Mi fermo a camminare prima ancora di raggiungere il ristoro, all'ombra di alcuni alberi. Altri bicchieri di coca cola si aggiungono ai precedenti, altra acqua gettata in testa. Riparto sotto il sole corricchiando. Ancora dieci chilometri. Rifletto sul fatto che la nomea "city trail" mi aveva tratto in inganno. Di cittadino questo trail ha solo la partenza e l'arrivo, tutto il resto no. E le pendenze, pur non potendo essere considerate montane, non sono neppure trascurabili, sopratutto con il trascorrere dei chilometri. A sinistra, la bianca e sterrata via crucis costeggia un campo da golf . Arranco accanto a flemmatici golfisti, neppure un 'ombra di sudore sulle polo, che m' ignorano, presi dalla loro attività. Passo accanto ad un casolare, da cui proviene al mio passaggio un abbaiare isterico, con gli occhi che bruciano per il sudore, e mi preparo a un’ennesima salita, che si profila impietosa là davanti, con l'animo di un manzo condotto davanti al macello.
Ai bordi della strada alcuni secchi colmi d'acqua, messi a bella posta per i trailer mi permettono un breve refrigerio. Un gruppo di residenti m’incoraggia. C'è anche un ragazzo su sedia a rotelle. Li saluto con un cenno della mano. Cammino fino in cima. Sono al ventisettesimo chilometro, quando raggiungo un gruppo di case.
-Davvero una bella passeggiata- scherzo con un ragazzo del Kitambo, che sorride di rimando, indicandomi la direzione da prendere.
-Coraggio, ora è tutta discesa-
La affronto sfruttando la forza di gravità, senza l’energia di impostare un ritmo particolare. Dopo una curva m'imbatto in un trailer seduto in mezzo alla strada, di traverso. Ha i crampi, mi chiede di tenergli su la gamba sinistra. Mi fermo ad aiutarlo. Si lamenta del gran caldo.
Riposa un attimo, cerca di stare all'ombra, gli suggerisco. Poi, sinceratomi che stava meglio, riparto. Con la coda dell'occhio noto che un inseguitore si è approssimato di molto.
Ogni volta che mi fermo, riprendere a correre è sempre più dura. Ormai è la testa che mi spinge, la voglia di concludere la gara. Ritorno su asfalto per l'ultima salita, di un chilometro. Alcuni incroci, specie quelli ove il sentiero sfocia su strada asfaltata, sono presidiati da uomini della protezione civile.
All'ultimo ristoro, ai due ragazzi che mi chiedono:
-Acqua, coca? - (Coca cola, non si discute)
domando loro a mia volta quanto manchi, nonostante il GPS mi riporti quattro chilometri, sperando in cuor mio che la gara sia in realtà più corta.
-Ancora quattro chilometri - mi confermano però, con partecipata aria di compatimento.
Gli ultimi tratti, quelli più vicini all'abitato, sono i più suggestivi. Ci portano lungo le sponde fluviali della cittadina. Il Po è molto vicino, se ne percepisce la presenza. Sarebbero magari anche divertenti, se ci fossi arrivato senza tutto quel bagaglio di chilometri alle spalle. Corricchio lungo una stretta pista in terra battuta che si fa largo tortuosa e ondulata tra la vegetazione del sottobosco.

Quando già sento la benedetta voce dello speaker in lontananza, supero un ultimo podista. Cammina e non abbozza nessun tentativo di reazione. Raggiungo e oltrepasso il letto di un torrente quasi in secca, mi rituffo nella vegetazione dalla parte opposta del corso d'acqua. Non c'è possibilità alcuna di errore nel seguire il giusto percorso, gli immancabili e numerosi nastri bianco rossi sono la mia stella cometa.
Un concorrente della 15 km è venuto ad incontrarci, mi incoraggia. Salgo su un ponticello in legno che ondeggia leggermente, emergo dalla frescura del sottobosco sino allo sterrato che mi porterà all'arrivo.
L'ultimo sterrato rettilineo, sotto un sole deciso, quasi non lo sento più...


Rock'n'roll.