FATHERSNAKE ON THE ROAD

Blog di corsa, ma non solo, di un runner per metà rocker e per metà podista.

sabato 12 marzo 2016

Una meta, un sueño (Transgrancanaria marathon)





L'autobus, guidato dalle esperte mani di un autista del luogo, segue con precisione una stretta strada che si inoltra nel cuore di Gran Canaria.  Altri autobus seguono ed altri precedono per un totale di sei,    trasportando un carico di runner che correranno la Transgrancanaria marathon 2016. Destinazione: El Garanon. Con alle spalle il bailamme turistico commerciale della costa, tornante dopo tornante l'isola sta svelando il suo volto più vero e selvaggio, fatto di severe e brulle alture, imponenti formazioni rocciose, bassa vegetazione. Ogni tanto compare qualche paesino a colonizzare il paesaggio selvatico, mentre cominciamo a scorgere le bandelle sistemate dall' organizzazione. Giungiamo alla meta dopo due ore di viaggio, dovute anche ai frequenti stop ove, nei punti più  stretti, qualche auto era costretta a manovrare per favorire il passaggio  del bus. Sbarchiamo in un bosco di conifere accolti da un freddo pungente, tanto che mi ritrovo a tremare nonostante la giacchetta che avevo indossata salendo sul mezzo. 





Non c'è tempo per un riscaldamento, in quanto dopo la punzonatura siamo subito accolti da appositi settori che, come le griglie della maratona, corrispondono alla durata stimata della gara. Mi sistemo in quello delle sei ore, e mi ritrovo nella prima griglia, venti minuti prima della partenza. Lo speaker è in gamba e fra incitamenti,  musica a palla, mani al cielo e finalmente countdown, finalmente si parte. Mannaggia,  mi commuovo e qualche lacrimuccia  scende a tradimento: impossibile non farsi coinvolgere dall'atmosfera, senza contare che i primi cento metri si fanno strada in mezzo ad un pubblico caloroso ed incitante,  che non lesina applausi ed "ANIMO"! Questa è la gara che da anni ho  immaginato di correre, ed ora sono qui, insignificante runner da cortile,  a consumare le mie forze per dar vita a questo grandioso spettacolo collettivo, a condividere con altri ottocentoventidue cuori questo sueno, che ti fa sentire grande anche se grande non sei.
In questo primo tramo il terreno è morbido, cosparso di aghi di pino. Poco prima della partenza ho scelto di sfidare il freddo, togliendomi la giacchetta. Scelta giusta, a posteriori: appena il sentiero si impenna in modo tale da costringerci a camminare in fila indiana sento presto caldo e compatisco chi non si è  liberato degli indumenti più pesanti.
L'ascesa è tutto sommato indolore: i ritmi non sono certo elevati e si vive una atmosfera di allegria scevra da tensione agonistica. Nei punti in cui grossi rami di pino caduti al suolo restringono la già esigua pista si formano estemporanei tappi. Il punto più elevato del percorso è presto raggiunto: si tratta del Pico de Nieves,  a 1942 metri di altezza. 
Si scende: in lontananza le imponenti formazioni rocciose del Roque Nublo

 La discesa seguente serpeggia senza particolari difficoltà tecniche e permette in alcuni tratti di alzare lo sguardo a cogliere la magnificenza del paesaggio che ci circonda. Mi volto, per cogliere qualche immagine in più e scorgo una fila di variopinte figurine umane a tracciare la strada che ho appena percorsa. E' il tratto in cui mi sento meglio, al termine del quale recupero 57 posizioni.

Senza particolari difficoltà dopo dodici chilometri avviene il ritorno alla civiltà, giungendo in picchiata al primo ristoro, a San Bartolome de Tirajana (Tunte)

L'accoglienza dei locali è festosa, con piccoli capannelli che non lesinano incitamenti.  Qualche caramella gommosa, un pugno di noccioline, e riparto: da bere ne ho in abbondanza. Ancora un tratto di discesa su asfalto, poi curva secca a destra e su ad arrampicarci per una viuzza con una pendenza da villaggio tibetano. Dopo un falsopiano che funge un po' da antipasto, mi trovo a fissare con sgomento un lungo nastro di cinque chilometri  di salita che mi vedrà camminare per la maggior parte del tempo, per un arido ed aspro sentiero che costeggia il Barranco de Pilancones.
Rifletto che definire la gara "una maratona in discesa" è un modo sbrigativo e poco appropriato per definire una prova ben più completa. Non si incontrano pendenze esagerate, ma i tratti in salita si fanno sentire e non sono semplici intermezzi tra una discesa e l'altra.
Nel frattempo, da un verde nord ci siamo trovati in una arido sud, con una vegetazione spoglia e di basso fusto tipica del deserto.
Nella successiva discesa mi si accende una spia di allarme. Ho recuperato altre dieci posizioni, ma la meta sembra ancora terribilmente lontana da affrontare con gambe che  sembrano aver perso reattività e questo mina la mia fiducia. Comincio a farmi da parte per far passare i sempre più numerosi runner che mi superano. In questi istanti sembrano tutti più  in forma.  È una discesa a malapena corribile che subisco passivamente, come un pugile messo alle corde da una serie di colpi ben assestati. Sono stanco. Con stato d'animo sempre meno entusiasta, dopo aver percorso una strada sulla parte terminale della diga di Ayagaures, raggiungo il ristoro che da tempo bramavo, per fare il punto della situazione e magari rimettere in sesto le gambe con degli automassaggi e stretching. Gente sempre festosa, io sempre meno.
La diga di Ayagaures. Sullo sfondo serpeggia la salita che si percorrerà al ritorno.


Telefono a Lia che,  vedendo la chiamata, pensa che abbia  intenzione di ritirarmi mentre volevo solo avere una idea della mia posizione rispetto agli altri partecipanti.
Aspetto un po'  e riparto senza sentirmi molto meglio di prima. Si riattraversa per un tratto  la stessa strada della diga ma all' inverso, poi ci attende un' altra salita di tre chilometri su una ampia strada sterrata non particolarmente tosta,  battuta da un vento fastidioso.
 Nessuno corre qui e questo mi rincuora. A parte qualche alieno che ci supera corricchiando, la maggior parte dei concorrenti intorno a me cammina. Recupero qualche posizione, senza faticare più di tanto, pur mantenendo un passo veloce e costante. E' l'ultima pendenza della gara. Da qui in poi si scende. Le gambe sono stanche, e pur non trattandosi di un declivio difficoltoso, basta poco per inciampare. Così succede infatti a due davanti a me, uno dopo l'altro. Niente di grave: uno la prende sul ridere, e guardandomi, dice qualcosa che probabilmente è una battuta scherzosa. Trattandosi di uno spagnolo, come almeno l'80 per cento dei concorrenti, non capisco nulla ma rido sulla fiducia. Quando la strada finalmente spiana, raggiungiamo il tratto meno coreografico: quello che sembra il letto di un torrente in secca, dove un tunnel di verzura nasconde alla vista l'ambiente circostante.

I ciottoli limitano la corsa, ma la mia è  comunque ormai una sorta di procedere secondo la scuola  corri e cammina di  Jeff Galloway. Dopo  i primi venti chilometri le velleità agonistiche sono state sostituite progressivamente dalla voglia di finire la gara.  Con rare eccezioni, è  quello che fanno tutti, ormai.
Non penso alla classifica, ma cerco comunque di difendere la posizione, non si sa mai.
Dal freddo pungente di El Garanon siamo passati ad un caldo secco che mi fa consumare velocemente la cola con cui ho riempito la borraccia a mano. Un gentilissimo concorrente mi offre dell'acqua, ed indicandomi  chiede se sto bene "Yes, and you?" "Ok"
Ormai siamo nella periferia di Maspalomas. A coppie, gruppetti, in ordine sparso come soldati in rotta dopo una battaglia ci avviciniamo alla meta agognata, guadagnandoci qualche residuo "ANIMO!" cui per la stanchezza  rispondiamo, al massimo, con uno stiracchiato sorriso.
Esaurite da tempo le energie, è rimasta solo la volontà. Quando finalmente scorgo l'arrivo e quando lo varco, dopo una passerella tra il pubblico, pur avendolo bramato per cinque ore e mezza non provo le stesse vibranti emozioni della partenza, solo un compiaciuto senso di soddisfazione per essere riuscito a varcare la meta, ed a realizzare il sueño.

Dati:
Distanza 42,62 km
Durata 05:32:03
223esimo su 822 partenti
Quinto di categoria su 60